(paragrafo tratto dal mio libro Nudi di Canzone. Navigando tra i generi della canzone italiana attraverso il valore musical-letterario, Zona, Arezzo, 2010)
Premessa di metodo
È importante premettere una cosa: il metodo qui preso in considerazione si riferisce alla "Teoria della comunicazione" di Jakobson. Riferendoci qui a Jakobson non parleremo di funzioni della lingua a cui lo studioso russo fa riferimento, ma ci limiteremo esclusivamente a seguirlo fino a un certo punto sulla strada da lui tracciata; lo seguiremo fino a che descrive i fattori della comunicazione. Jakobson, infatti, nel suo studio si riferisce alla comunicazione verbale: questa prevede delle caratteristiche comuni, dei meccanismi che presentano sempre codice, messaggio, contesto, canale, destinatario e contatto. La trasposizione di questi fattori nella comunicazione di una canzone non crea problemi, quello che ci metterebbe decisamente fuori strada andando avanti sarebbe invece la funzione, lo scopo a cui servono questi fattori nella differenza tra comunicazione verbale e quella di una canzone. No: a noi qui interessa sapere quali fattori vengono maggiormente chiamati in causa dalla creatività dell’artista, nel momento in cui produce qualcosa che dovrà diventare un atto comunicativo particolare come, appunto, la canzone.
Semmai, più che lo scopo della comunicazione e quindi la
funzione, quello che a noi serve per designare i generi dal punto di vista
semiotico è individuare quale fattore maggiormente influenza la creazione del
futuro ‘atto comunicativo-canzone’ in ogni differente genere: nella canzone pop e nella canzone d’autore.
Differenza tra canzone pop e canzone d'autore
La canzone pop, a livello semiotico-testuale, in quanto genere vincolato all’immagine iconica visiva collettiva e alla dialettica che quella auditiva ha con essa, presenta per sua stessa natura un codice volubile e sovrastrutturale e un messaggio di tipo ‘bloccato’, perché dipendente dal contesto e dal destinatario: dall’immagine. Del mittente non è importante l’autenticità del rapporto tra se stesso e il codice, quanto l’immagine collettiva. L’autore di una canzone pop sa cosa non può non dire e sfrutta di conseguenza codici prestabiliti e riconoscibili, non come unico veicolo adatto per tradurre il mondo e quindi come scelta di linguaggio – esigenza espressiva – bensì come linguaggio comprensibile e modo per arrivare. Linguaggio come necessità comunicativa, non come atto linguistico per il quale è importante il codice stesso.
La canzone d’autore, in quanto genere che lavora
principalmente sul messaggio non ‘bloccato’ e sul codice, presenta dunque tre
differenze decisive rispetto alla canzone pop:
1) Nel codice, non volubile ma, come in tutti gli altri
generi definiti principalmente dal codice stesso, ‘bloccato’ perché scelto come
esigenza espressiva per tradurre il mondo e farne metafora, lavorando quindi su
di esso e riflettendoci anche metalinguisticamente, fino a portare alle estreme
conseguenze la sua potenzialità espressiva nel caso delle avanguardie.
2) Nel messaggio, che, non essendo in alcun modo vincolato,
riflette e traduce temi derivanti esclusivamente dal modo dell’autore di vedere
il mondo, il proprio contesto, fino a che, in casi estremi, l’autore non
diventi destinatario e mittente in un sol colpo[1].
Sembra ovvio che solo la canzone d’autore, visti i presupposti, possa
permettere perciò il crearsi di una poetica
dell’autore.
3) Nel presupposto indispensabile dell’autenticità del
rapporto tra messaggio, codice e mittente. Attenzione: autenticità da intendere
non nella verità dei fatti[2], ma
nell’immancabile presupposto che l’opera d’arte venga fuori dal rapporto
stretto, inscindibile e osmotico tra
questi tre fattori. La bontà di questo rapporto – quindi ogni
valutazione estetica – dipenderà da nient’altro che non sia la capacità di
traduzione dell’autore. È importante la parvenza di naturalità e
consequenzialità che l’autore riesce a dare al rapporto tra la propria
emozionalità (o coinvolgimento), il messaggio e la forma: solo in questo modo,
con questa parvenza di consequenzialità, i grandi artisti ci danno
l’impressione che tutto sia al proprio posto in quell’opera, che il mondo non
possa essere che così, che siano riusciti a svelarci un mondo nascosto e che
pure ci descriva in maniera tanto mirabile, dandoci una alternativa, una
traduzione che dica la stessa cosa del mondo ma in modo diverso; e il modo diverso fa la differenza[3].
Qui c’è una differenza cruciale con la canzone pop: nel
fatto che in quest’ultima l’autenticità traduttiva (quella del trittico
mittente-codice-messaggio) viene a mancare, mancando un codice che la
caratterizzi e non avendo possibilità di movimento per il messaggio. Perciò il
codice sarà ogni volta differente in base al destinatario e al contesto. Così
saranno la funzione conativa o referenziale a fare la differenza.
Per questi motivi, non sarà la vicenda traduttiva l’oggetto
della creatività, ma il suo rapporto con lo scenario referente. In questo caso
allora, la bravura dell’artista starà nel saper creare un rapporto originale ma
comunque riconoscibile tra icona musicale e icona visiva, lavorando sulla
costruzione di una relazione in cui la prima interagisca attivamente con la
seconda.
Insomma: non si parte dall’opera e dall’autore. Se il
discrimine tra pop e d’autore è nell’autenticità, è rintracciabile già
nell’etimologia del termine: autenticità deriva da concetti come agire da sé medesimo, entro se stesso. Per dirla con Max Manfredi: «Questa è la
differenza fondamentale tra la canzone d’autore e quella no: che l’autore sono
io»[4]:
semplicità disarmante alla quale però, nel nostro caso, era bene arrivare per
gradi.
Da qui deriva una differenza fondamentale, forse la più
importante tra pop e canzone d’autore: quella tra icona e poetica.
L’icona è presente
nel pop ed è l’immagine che viene fuori dal rapporto tra codice, contesto e
destinatario: vede nella propria ripetizione – e nell’indispensabile
riconoscimento – ogni volta consumata la fine e il fine stesso del proprio ruolo.
La poetica è presente nella canzone d’autore e viene fuori
dal rapporto tra mittente, codice e messaggio: vede la ripetizione non nel
messaggio in sé ma soprattutto nel modo di essere veicolato, creando
ripetizione in ogni momento fruita[5], non
consumata, che perciò si rigenera ogni volta in forme diverse e – a ben vedere
– dribblando ‘scientemente’ l’essenza stessa della ripetizione. Non è l’azione
del ripetere ad essere imprescindibile, ma la traduzione, tramite lo stesso
messaggio o tramite messaggi diversi.
Insomma: l’icona è la scelta giusta e che funziona, che si ripete in
quanto giusta; la poetica è una scelta personale tra le tante possibili, che si
ripete in quanto proprio modo di fare.
Siccome il concetto di icona non differenzia solo la canzone
pop dalla canzone d’autore, ma un po’ da tutti i generi, sarà bene dedicare un
paragrafo parentetico per spiegare in che modo questa ripetizione si presenti
nella storia, soprattutto sotto il punto di vista delle strutture musicali.
[1] Sembra per esempio questo
secondo punto a permettere a Vecchioni di approfondire il tema del doppio, fino
a farne un personale vero e proprio topos
musical-letterario: canzoni come Milady
o Il bandolero stanco parlano di
personaggi surreali, riferendosi immancabilmente allo stesso cantautore,
acquistando il proprio senso proprio nell’autorialità di rimando, di secondo
grado, che parte dal proprio mondo e ad esso è diretto.
[2] Ovviamente non è
indispensabile che l’autore, l’artista ‘ci dica il vero’, anzi, spesso la
bravura di un artista è tale proprio per la capacità di tradurre emotività a
lui lontane nel linguaggio scelto.
[3] Con questi presupposti,
essendo il rapporto tra mittente, messaggio e codice elemento strutturale,
verrà da sé il fatto che il contesto, il destinatario e gli altri fattori della
comunicazione diventeranno sovrastrutturali, perciò il piano di marketing per
promuovere la canzone d’autore dovrà partire da ciò che è l’oggetto artistico
per scegliere il contesto adatto per proporlo e il destinatario ideale, così
come il canale: esattamente il contrario di una strategia promozionale per la
canzone pop.
[4] Da una intervista di Paolo
Talanca a Max Manfredi raggiungibile all’indirizzo internet: http://www.bielle.org/2008/Interviste/MaxMan_Talanca_int.htm
[5] Per la differenza tra
‘fruire’ e ‘consumare’ in quest’ambito cfr. P. Talanca, Cantautori novissimi. Canzone d’autore per il terzo millennio,
Bastogi, Foggia, 2008, p. 12.