domenica 20 novembre 2011

Baccini canta Tenco: la vita, non la morte

Francesco Baccini è genovese e assomiglia a Tenco. Quando canta le canzoni al piano, soprattutto quelle lente, accenna a una smorfia involontaria che viene direttamente da casa Tenco.
Era circa un anno che dovevo vedere lo spettacolo Baccini canta Tenco: «Porto a spasso Luigi nei teatri…» e l’occasione è arrivata all’ottimo Festival delle letterature dell’Adriatico, a Pescara, in un teatro Massimo gremito.

C’è una cosa di cui ci si accorge immediatamente: Baccini canta le canzoni di Tenco come se stesse nel suo salotto di casa, salotto che non comprende solo il palco, ma anche la platea; questo accade perché il suo approccio è rispettoso ma confidenziale, come se Tenco stesso fosse seduto in un angolo, incuriosito.

Lo spettacolo è scritto dallo stesso Baccini e da Marzio Angiolani, arrangiato e suonato splendidamente alla chitarra classica da Armando Corsi, con scenografie di Marco Nereo Rotelli, con Filippo Pedol al contrabbasso, Luca Falomi alle chitarre, Luca Volonté sassofoni e percussioni e Marco Fadda alla batteria. Alla direzione musicale Raffaele Abbate e alle luci sua maestà Pepi Morgia.

Si parte con Vedrai vedrai e Quando, che sono brani che assecondano le attese di chi conosce Tenco superficialmente, tramite la televisione o ricordi permessi da quel dannato Sessantasette. Questo spettacolo, però, ha come primo intento quello di far capire che Tenco fu prima di tutto uno che smosse le acque, un humus creativo e una manna, passaggio germinale e crisalide per la canzone d’autore italiana. Così, già dalla terza canzone, Baccini mette in atto il suo piano: si cala nel poetico realismo di Tenco, fatto di un dettato quasi prosaico, funzionale a quello che a Tenco interessava in quel periodo: l’immediatezza, con le parole che arrivano dritte come macigni, sia per le canzoni d’amore che per quelle di protesta.

Qui c’è il passo in più, perché l’aspetto connotativo, cioè la verve e l’emozione aggiunta, è trasmessa dalla musica: e in questo spettacolo si suona davvero.
Riattualizzare Tenco, questo è il punto, perché le sue canzoni sono degli scrigni di canzone d’autore più pura. I brani prestano alla Storia testo-armonia-melodia e un riferimento interpretativo, da arrangiare nel tempo e consegnare all’immortalità. E non voglio essere aulico, è che con la canzone d’autore funziona così.
Ecco che dunque si esce fuori dalla logica del beat e si passeggia tra i generi in una giornata di sole. Tre esempi su tutti: La balata della moda in cui Antonio, il protagonista, viene spolverato e riprende vita per rivivere come rivivrebbe oggi uno scritto corsaro di Pasolini; Ognuno è libero, genialmente tradotta in uno ska che scecchera i suoi quarantacinque anni; E se ci diranno – forse il momento più alto dell’intero concerto – regalata a un arrangiamento rock che Tenco non ha fatto in tempo ad usare.

La musica, inoltre, dice la sua sia quando Baccini esegue Mi sono innamorato di te in solitaria, sia quando duetta al piano o alla sola voce con la chitarra di Armando Corsi, sia quando parte la jam dell’intera band, col piacere e la voglia di suonare, perché Tenco nasce dal jazz, dal sax, da una precisa struttura musicale delle canzoni e non da due note in croce che accompagnano i testi.
Così, facendo la spola tra brani come Se stasera sono qui e Cara maestra, Baccini fa conoscere il vero Tenco, inaspettato dal pubblico. In platea si tocca con mano lo stupore dell’attualità dei pezzi di denuncia e il fatto che Tenco fosse un vero agitatore, non un ragazzino scontroso e sconfortato, semmai, appunto, agitato e nitidamente agitante.

Definitivamente: Baccini canta la vita di Tenco, non la morte, perché Tenco è passato alla storia maledettamente per la sua morte, non per le sue canzoni. Ed è una sciagura. Lo spettacolo, infatti, si ferma a qualche settimana prima del Festival del 1967, tant’è che viene eseguita la versione originale di Ciao amore ciao, poi cambiata per esigenze discografiche. Il brano si intitola Li vidi tornare, una canzone di vita, antimilitarista, che parte dalle guerre di ogni tempo, cita chiaramente Bella ciao nel ritornello e prefigura, manco a dirlo, la stagione dei cantautori (per esempio è impressionante la vicinanza strutturale con I commedianti di Vecchioni).

Il congedo è una chicca: Preghiera in gennaio, la canzone che Fabrizio De André dedicò proprio a Tenco, con Baccini alla voce e sola chitarra di Armando Corsi. Anche qui, una canzone macigno per la storia della canzone d’autore (si veda, una per tutte, la recente La piccola amica, di Marco Ongaro), il modo migliore per esaltare ciò che Tenco ci ha lasciato, la sua vitalità artistica e il suo legittimo ingresso nel Paradiso della storia culturale italiana.

1 commento:

  1. e di questo cantante cosa ne pensate?

    http://www.direttanews.it/2014/05/17/eurodeputato-rocker-tiziano-motti-scala-lhit-parade-video/

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