giovedì 6 marzo 2014

DIFFERENZA TRA CANZONE POP E CANZONE D’AUTORE

(paragrafo tratto dal mio libro Nudi di Canzone. Navigando tra i generi della canzone italiana attraverso il valore musical-letterario, Zona, Arezzo, 2010)


Premessa di metodo


È importante premettere una cosa: il metodo qui preso in considerazione si riferisce alla "Teoria della comunicazione" di Jakobson. Riferendoci qui a Jakobson non parleremo di funzioni della lingua a cui lo studioso russo fa riferimento, ma ci limiteremo esclusivamente a seguirlo fino a un certo punto sulla strada da lui tracciata; lo seguiremo fino a che descrive i fattori della comunicazione. Jakobson, infatti, nel suo studio si riferisce alla comunicazione verbale: questa prevede delle caratteristiche comuni, dei meccanismi che presentano sempre codice, messaggio, contesto, canale, destinatario e contatto. La trasposizione di questi fattori nella comunicazione di una canzone non crea problemi, quello che ci metterebbe decisamente fuori strada andando avanti sarebbe invece la funzione, lo scopo a cui servono questi fattori nella differenza tra comunicazione verbale e quella di una canzone. No: a noi qui interessa sapere quali fattori vengono maggiormente chiamati in causa dalla creatività dell’artista, nel momento in cui produce qualcosa che dovrà diventare un atto comunicativo particolare come, appunto, la canzone.
Semmai, più che lo scopo della comunicazione e quindi la funzione, quello che a noi serve per designare i generi dal punto di vista semiotico è individuare quale fattore maggiormente influenza la creazione del futuro ‘atto comunicativo-canzone’ in ogni differente genere: nella canzone pop e nella canzone d’autore.


Differenza tra canzone pop e canzone d'autore


La canzone pop, a livello semiotico-testuale, in quanto genere vincolato all’immagine iconica visiva collettiva e alla dialettica che quella auditiva ha con essa, presenta per sua stessa natura un codice volubile e sovrastrutturale e un messaggio di tipo ‘bloccato’, perché dipendente dal contesto e dal destinatario: dall’immagine. Del mittente non è importante l’autenticità del rapporto tra se stesso e il codice, quanto l’immagine collettiva. L’autore di una canzone pop sa cosa non può non dire e sfrutta di conseguenza codici prestabiliti e riconoscibili, non come unico veicolo adatto per tradurre il mondo e quindi come scelta di linguaggio – esigenza espressiva – bensì come linguaggio comprensibile e modo per arrivare. Linguaggio come necessità comunicativa, non come atto linguistico per il quale è importante il codice stesso.  
La canzone d’autore, in quanto genere che lavora principalmente sul messaggio non ‘bloccato’ e sul codice, presenta dunque tre differenze decisive rispetto alla canzone pop:
1) Nel codice, non volubile ma, come in tutti gli altri generi definiti principalmente dal codice stesso, ‘bloccato’ perché scelto come esigenza espressiva per tradurre il mondo e farne metafora, lavorando quindi su di esso e riflettendoci anche metalinguisticamente, fino a portare alle estreme conseguenze la sua potenzialità espressiva nel caso delle avanguardie.
2) Nel messaggio, che, non essendo in alcun modo vincolato, riflette e traduce temi derivanti esclusivamente dal modo dell’autore di vedere il mondo, il proprio contesto, fino a che, in casi estremi, l’autore non diventi destinatario e mittente in un sol colpo[1]. Sembra ovvio che solo la canzone d’autore, visti i presupposti, possa permettere perciò il crearsi di una poetica dell’autore.
3) Nel presupposto indispensabile dell’autenticità del rapporto tra messaggio, codice e mittente. Attenzione: autenticità da intendere non nella verità dei fatti[2], ma nell’immancabile presupposto che l’opera d’arte venga fuori dal rapporto stretto, inscindibile e osmotico tra  questi tre fattori. La bontà di questo rapporto – quindi ogni valutazione estetica – dipenderà da nient’altro che non sia la capacità di traduzione dell’autore. È importante la parvenza di naturalità e consequenzialità che l’autore riesce a dare al rapporto tra la propria emozionalità (o coinvolgimento), il messaggio e la forma: solo in questo modo, con questa parvenza di consequenzialità, i grandi artisti ci danno l’impressione che tutto sia al proprio posto in quell’opera, che il mondo non possa essere che così, che siano riusciti a svelarci un mondo nascosto e che pure ci descriva in maniera tanto mirabile, dandoci una alternativa, una traduzione che dica la stessa cosa del mondo ma in modo diverso; e il modo diverso fa la differenza[3].
Qui c’è una differenza cruciale con la canzone pop: nel fatto che in quest’ultima l’autenticità traduttiva (quella del trittico mittente-codice-messaggio) viene a mancare, mancando un codice che la caratterizzi e non avendo possibilità di movimento per il messaggio. Perciò il codice sarà ogni volta differente in base al destinatario e al contesto. Così saranno la funzione conativa o referenziale a fare la differenza.
Per questi motivi, non sarà la vicenda traduttiva l’oggetto della creatività, ma il suo rapporto con lo scenario referente. In questo caso allora, la bravura dell’artista starà nel saper creare un rapporto originale ma comunque riconoscibile tra icona musicale e icona visiva, lavorando sulla costruzione di una relazione in cui la prima interagisca attivamente con la seconda.
Insomma: non si parte dall’opera e dall’autore. Se il discrimine tra pop e d’autore è nell’autenticità, è rintracciabile già nell’etimologia del termine: autenticità deriva da concetti come agire da sé medesimo, entro se stesso. Per dirla con Max Manfredi: «Questa è la differenza fondamentale tra la canzone d’autore e quella no: che l’autore sono io»[4]: semplicità disarmante alla quale però, nel nostro caso, era bene arrivare per gradi.
Da qui deriva una differenza fondamentale, forse la più importante tra pop e canzone d’autore: quella tra icona e poetica.
 L’icona è presente nel pop ed è l’immagine che viene fuori dal rapporto tra codice, contesto e destinatario: vede nella propria ripetizione – e nell’indispensabile riconoscimento – ogni volta consumata la fine e il fine stesso del proprio ruolo.
La poetica è presente nella canzone d’autore e viene fuori dal rapporto tra mittente, codice e messaggio: vede la ripetizione non nel messaggio in sé ma soprattutto nel modo di essere veicolato, creando ripetizione in ogni momento fruita[5], non consumata, che perciò si rigenera ogni volta in forme diverse e – a ben vedere – dribblando ‘scientemente’ l’essenza stessa della ripetizione. Non è l’azione del ripetere ad essere imprescindibile, ma la traduzione, tramite lo stesso messaggio o tramite messaggi diversi.  Insomma: l’icona è la scelta giusta e che funziona, che si ripete in quanto giusta; la poetica è una scelta personale tra le tante possibili, che si ripete in quanto proprio modo di fare.
Siccome il concetto di icona non differenzia solo la canzone pop dalla canzone d’autore, ma un po’ da tutti i generi, sarà bene dedicare un paragrafo parentetico per spiegare in che modo questa ripetizione si presenti nella storia, soprattutto sotto il punto di vista delle strutture musicali.






[1] Sembra per esempio questo secondo punto a permettere a Vecchioni di approfondire il tema del doppio, fino a farne un personale vero e proprio topos musical-letterario: canzoni come Milady o Il bandolero stanco parlano di personaggi surreali, riferendosi immancabilmente allo stesso cantautore, acquistando il proprio senso proprio nell’autorialità di rimando, di secondo grado, che parte dal proprio mondo e ad esso è diretto.
[2] Ovviamente non è indispensabile che l’autore, l’artista ‘ci dica il vero’, anzi, spesso la bravura di un artista è tale proprio per la capacità di tradurre emotività a lui lontane nel linguaggio scelto.
[3] Con questi presupposti, essendo il rapporto tra mittente, messaggio e codice elemento strutturale, verrà da sé il fatto che il contesto, il destinatario e gli altri fattori della comunicazione diventeranno sovrastrutturali, perciò il piano di marketing per promuovere la canzone d’autore dovrà partire da ciò che è l’oggetto artistico per scegliere il contesto adatto per proporlo e il destinatario ideale, così come il canale: esattamente il contrario di una strategia promozionale per la canzone pop.
[4] Da una intervista di Paolo Talanca a Max Manfredi raggiungibile all’indirizzo internet: http://www.bielle.org/2008/Interviste/MaxMan_Talanca_int.htm
[5] Per la differenza tra ‘fruire’ e ‘consumare’ in quest’ambito cfr. P. Talanca, Cantautori novissimi. Canzone d’autore per il terzo millennio, Bastogi, Foggia, 2008, p. 12.

1 commento:

  1. Negli ultimi tempi, ho cominciato a riascoltare vecchia musica. (ai bei tempi si poteva scaricare tutto) per cui il mio catalogo e' piuttosto vasto, (De Andre' Guccini, Vasco, Ligabue, 883 eccc) Ed e'arrivato il momento di Baglioni, che ho amato tanto fino a "Oltre", poi l'ho messo un po' da parte pur avendo acquistato i 2 successivi album di inediti. Per caso ho letto una sua critica su http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/04/claudio-baglioni-quindici-anni-di-canzoni-senza-un-motivo-per-cantare/901662/. Quindi sono arrivato qui sul suo blog dove dovrebbe spiegare il perche' dell'articolo. Beh se lo spiega lo fa' molto male.
    Io non sono un grande esperto come altri. Mi piace la buona musica, che definisco orecchiabile gia' dal primo ascolto, e che diventa ottima anche se accompagnata da testi non banali. Beh credo che anche gli ultimi due album di inediti di Claudione nostro possano essere cosi' incasellati. Al contrario di molti suoi colleghi che pero'godono invece ottima fama tra i critici.

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